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Nuovo Cinema Nicoletti – IL DEMONIO, l’etnografia e “L’Esorcista”

Posted by Stefano Nicoletti in #lavorobenfatto, Nuovo Cinema Nicoletti | 0 comments

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La seconda guerra mondiale è appena finita e c'è così tanto da capire e da raccontare. Il fascismo lascia non solo i tremendi risultati di una guerra inutile, ma soprattutto la voglia di ricominciare a vedere la realtà così com'è, con gli occhi di un bambino curioso, ripulita dalle interferenze della propaganda, in attesa di mostrare quello che la paura impediva di esprimere.

E' in questo contesto che si sviluppa in Italia il periodo più florido di un genere cinematografico molto importante, ma altrettanto dimenticato: il cinema etnografico. Sì, mi rendo conto che si tratta di una terminologia da cineforum fantozziano, capace di far scappare a gambe levate il lettore medio. In realtà il cinema etnografico è stato uno dei fenomeni più affascinanti della cinematografia italiana, seppur assolutamente di nicchia, capace di  portare le proprie influenze direttamente a Hollywood, in grandi produzioni come "L'Esorcista" di William Friedkin.

Andiamo per gradi. Siamo negli anni '50 e una serie di giovani autori parte per le terre più remote d'Italia (nienti treni, niente autostrade...) per documentare usi e costumi, superstizioni e saggezze antiche, tradizioni millenarie e cambiamenti definitivi, per raccontare un mondo contadino destinato a combattere una battaglia persa in partenza contro il mondo delle città, quello che si presenta come il futuro. Un lavoro enorme, complesso, possibile solo grazie alla spinta della passione civile con la quale viene svolto.

Vengono così prodotte decine di documentari, spesso poco più che cortometraggi, che parlano delle nostre radici e le immortalano su pellicola perché possano essere meglio comprese e perché non vadano perdute. Inevitabile che anche il mondo del cinema ne sia influenzato e decida di mescolare realtà e finzione, ricerca e narrazione. Nascono così film come "Il Demonio" di Brunello Rondi, che esce nel 1963 e non lascia traccia al Festival di Venezia.

Il film è girato in Lucania, terra che nel cinema etnografico rappresenta al contempo sia una terra promessa che un punto di partenza per tutti gli studiosi (Ernesto De Martino su tutti). Una bellissima e intensa Dahlia Lavi, che nello stesso anno girerà per Mario Bava il film "La Frusta e il Corpo" con Christopher Lee e alcuni anni dopo farà il grande salto recitando in "007 Casino Royale", si mescola ad attori locali per raccontare la storia di Purificata ("Purif" o "Purì"), giovane donna innamorata a tal punto di uomo promesso sposo da renderla pronta a utilizzare qualsiasi metodo, anche quelli magici, per legarlo a sé. Sarà un crescendo di ossessioni, alimentate da un mondo dove le formule e i riti magici propiziatori sono parte integrante della vita di tutti i giorni (spettacolari la scena di benedizione del letto degli sposi novelli, la processione che termina con la confessione collettiva, il rito per respingere il temporale) e quando Purif confesserà di riuscire a parlare al Demonio in persona, i suoi paesani la prenderanno in parola e, considerandola il principio di tutti i propri mali, inizieranno una brutale, violenta procedura di rigetto sociale.

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E' in questa fase del film che lo studio sociale e antropologico si mescola all'horror. Questo mix sarà una costante delle trasposizioni cinematografiche derivanti dal documentario etnografico (vedasi ad esempio "Non si sevizia un paperino" di Lucio Fulci del 1972), come se un ritorno alle origini debba per forza trasformarsi in un viaggio nelle nostre peggiori paure collettive.

L'esorcismo di Purif ad opera del Parroco del paese, scena girata nel 1963, lascerà molti di stucco. Alcune scene de "L'Esorcista" di William Friedkin, uscito dieci anni dopo, sono infatti inequivocabilmente ispirate a questa parte del film di Brunello Rondi:  mi riferisco in particolare alla camminata da ragno (schiena inarcata e braccia in posizione innaturale) di Dahlia Lavi all'interno della chiesa, ma anche alla presunta possessione diabolica della ragazza sul letto della sua stanza. Se a queste scene aggiungiamo il fatto che lo sfondo della vicenda è da una parte il deserto sassoso del materano e dall'altra quello sassoso iracheno (ne "L'Esorcista"), il quadro dell'influenza del film di Rondi (e di conseguenza di tutti gli echi del cinema etnografico italiano) diventa chiaro, imprescindibile.

Alcune doverose parole per Dahlia Lavi, che in questo film si esibisce in un'interpretazione di un'intensità superiore. Circondata come detto quasi solo da attori non professionisti, riesce a restituire perfettamente l'alienazione sospesa della sua condizione.

REGIA E FOTOGRAFIA: ***/5

CINEMA DEL FUTURO (misura dell’originalità complessiva): *****/5

CINEMA BEN FATTO (attinenza con i temi del #lavorobenfatto): ****/5

EFFETTO COLLA (attaccamento alla poltrona): ****/5

Lo spettacolo finisce qui. Alla prossima, al Nuovo Cinema Nicoletti.