«l’ignorante non si conosce mica dal lavoro che fa, ma da come lo fa»

Ci piace l’Italia che pensa lavoro, dunque sono, merito rispetto, considerazione.
L’Italia che dà più valore al lavoro e meno valore ai soldi, più valore a ciò che le persone sanno, e sanno fare, e meno valore a ciò che hanno.
L’Italia che crede nel lavoro come identità, dignità, diritti, responsabilità, autonomia, futuro e dunque non considera il lavoro soltanto un mezzo, una necessità, ma anche un fine, una possibilità.
L’Italia che chiede rispetto per il lavoro e per chi lavora, riconoscimento per chi merita, sostegno per chi innova, inclusione per chi si trova in una condizione di svantaggio non per propria colpa ma per gli esiti della lotteria sociale.
L’Italia che considera il lavoro ben fatto il centro, il motore, l’anima del processo di cambiamento, l’approccio in grado di tenere assieme l’ebanista e il maker, l’azienda agricola e il rural hub, il cantiere edile e l’impresa di pannelli solari, il borgo antico e la smart city.
L’Italia che pensa che ciò che va quasi bene non va bene, che mette sempre una parte di sé in quello che fa, che prova soddisfazione nel fare bene una cosa a prescindere, qualunque essa sia: pulire una strada, progettare un centro direzionale, scrivere l’enciclopedia del dna, cucinare la pasta e fagioli.
L’Italia che compete perché nel lavoro valorizza la dedizione, la cura, l’intelligenza, la qualità, la professionalità, l’eccellenza, la conoscenza, l’innovazione, la bellezza.
L’Italia del barista e della scienziata, dell’artigiano e dell’impiegata, del musicista e dell’operaia, del ferroviere e dell’apicultore, della maestra, dello start-upper e del meccanico, donne e uomini normali che ogni giorno con il proprio lavoro, con l’intelligenza, l’amore, l’impegno che mettono nelle cose che fanno, creano le condizioni per dare più senso e significato alle proprie vite e dare più futuro al proprio Paese.