«l’ignorante non si conosce mica dal lavoro che fa, ma da come lo fa»
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Nuovo Cinema Nicoletti – GONZO e lo spettro del sogno americano

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“L’artista, l’uomo dalla completa consapevolezza, oggi è l’unico che vive”.
Scriveva così il sociologo Marshall McLuhan.
Ma che vita vive l’artista? quali sono i suoi stimoli, quali le sue frustrazioni, quali le pressioni che sopporta? Per provare a capirlo meglio seguitemi: ci avventureremo insieme dentro una vita estrema che ha saputo creare pagine dal sapore forte, deciso come quel vino che ha necessità di essere abbinato a pietanze estremamente saporite per essere apprezzato a fondo.
Sto parlando della vita (e dell’arte) dello scrittore Hunter S. Thompson (1937-2005). Nostra guida indiana è il regista Alex Gibney, che su quella vita assolutamente sopra (sotto? attraverso?) le righe ha realizzato il documentario “Gonzo: life and works of Dr. Hunter S. Thompson”.
Accompagnato dalle letture di Johnny Depp e realizzato con un equilibrismo geniale tra animazioni, ricostruzioni e testimonianze dei personaggi che hanno vissuto gli episodi più disparati insieme a Thompson, il documentario si eleva fino ad assumere un valore storico.
A dispetto dei suoi incredibili vizi privati, Hunter S. Thompson è stato infatti uno dei più lucidi reporter degli anni ’60 e ’70 del 900. Con il suo stile partecipato, affatto distaccato rispetto alle storie da raccontare, è riuscito a rendere vivi le atmosfere e i cambiamenti profondi che la società americana ha vissuto prima di tutte le altre nel secondo dopoguerra. Ci è riuscito involontariamente mentre cercava tutt'altro: una prova inconfutabile che il sogno americano fosse ancora vivo e palpitante.

La solitudine di un giornalista in cerca di fortuna nella Portorico dei primi anni '60, assediata dalla speculazione immobiliare. Il motore di un'Harley Davidson lanciata a 100 miglia all'ora da un barbuto con i colori degli Hell's Angels nel '65. La guerra del Vietnam, assurda e onnipresente come uno spettro. Il sangue livido di rabbia dei manifestanti pacifici pestati dalla polizia a Chicago nel '68. Gli scommettitori infuriati, tanto più ubriachi quanto più perdenti, del Kentucky Derby del 1970. La fuga verso Las Vegas del 1971, con una macchina, un amico e un registratore a cassetta per intervistare gente comune su tutto e su niente. L'impegno politico, con la candidatura a Sceriffo appoggiato dal movimento "Freak power" finita per pochi voti in un niente di fatto. E poi l'ultima delle delusioni: la sconfitta del candidato democratico George McGovern nel 1972, durante una campagna presidenziale che Hunter S. Thompson non avrebbe mai potuto limitarsi a osservare in modo del tutto distaccato.

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Hunter S. Thompson ha potuto raccontare tutto questo, a ben vedere una sintesi completa della società americana, perché è stato parte di tutto questo: il suo modo di rappresentare la realtà non prevedeva l'opzione di tirarsi indietro.

Il peso che ha portato sulle spalle, lui come ogni singolo individuo che intraveda la realtà dietro il velo delle apparenze, ha finito per fargli scegliere, dopo anni di povertà, di rifiuti, di esperienze ben oltre i limiti, la strada comoda dell'oblio, dell'accondiscendenza.

L'alcol, le droghe, la passione folle per le armi hanno interrotto un talento assoluto dal portare a termine ciò che gli riusciva meglio: raccontare il mondo intorno a lui senza mezze misure.

Il documentario di Gibney ci mostra questo percorso con una lucidità artistica rara e preziosa. Unico neo: non esiste ancora una versione italiana del documentario, che può essere goduto solo in quella originale.

REGIA E FOTOGRAFIA: *****/5

CINEMA DEL FUTURO (misura dell’originalità complessiva): *****/5

CINEMA BEN FATTO (attinenza con i temi del #lavorobenfatto): ****/5

EFFETTO COLLA (attaccamento alla poltrona): ****/5

Lo spettacolo finisce qui. Alla prossima, al Nuovo Cinema Nicoletti.

Nuovo Cinema Nicoletti – IL DEMONIO, l’etnografia e “L’Esorcista”

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La seconda guerra mondiale è appena finita e c'è così tanto da capire e da raccontare. Il fascismo lascia non solo i tremendi risultati di una guerra inutile, ma soprattutto la voglia di ricominciare a vedere la realtà così com'è, con gli occhi di un bambino curioso, ripulita dalle interferenze della propaganda, in attesa di mostrare quello che la paura impediva di esprimere.

E' in questo contesto che si sviluppa in Italia il periodo più florido di un genere cinematografico molto importante, ma altrettanto dimenticato: il cinema etnografico. Sì, mi rendo conto che si tratta di una terminologia da cineforum fantozziano, capace di far scappare a gambe levate il lettore medio. In realtà il cinema etnografico è stato uno dei fenomeni più affascinanti della cinematografia italiana, seppur assolutamente di nicchia, capace di  portare le proprie influenze direttamente a Hollywood, in grandi produzioni come "L'Esorcista" di William Friedkin.

Andiamo per gradi. Siamo negli anni '50 e una serie di giovani autori parte per le terre più remote d'Italia (nienti treni, niente autostrade...) per documentare usi e costumi, superstizioni e saggezze antiche, tradizioni millenarie e cambiamenti definitivi, per raccontare un mondo contadino destinato a combattere una battaglia persa in partenza contro il mondo delle città, quello che si presenta come il futuro. Un lavoro enorme, complesso, possibile solo grazie alla spinta della passione civile con la quale viene svolto.

Vengono così prodotte decine di documentari, spesso poco più che cortometraggi, che parlano delle nostre radici e le immortalano su pellicola perché possano essere meglio comprese e perché non vadano perdute. Inevitabile che anche il mondo del cinema ne sia influenzato e decida di mescolare realtà e finzione, ricerca e narrazione. Nascono così film come "Il Demonio" di Brunello Rondi, che esce nel 1963 e non lascia traccia al Festival di Venezia.

Il film è girato in Lucania, terra che nel cinema etnografico rappresenta al contempo sia una terra promessa che un punto di partenza per tutti gli studiosi (Ernesto De Martino su tutti). Una bellissima e intensa Dahlia Lavi, che nello stesso anno girerà per Mario Bava il film "La Frusta e il Corpo" con Christopher Lee e alcuni anni dopo farà il grande salto recitando in "007 Casino Royale", si mescola ad attori locali per raccontare la storia di Purificata ("Purif" o "Purì"), giovane donna innamorata a tal punto di uomo promesso sposo da renderla pronta a utilizzare qualsiasi metodo, anche quelli magici, per legarlo a sé. Sarà un crescendo di ossessioni, alimentate da un mondo dove le formule e i riti magici propiziatori sono parte integrante della vita di tutti i giorni (spettacolari la scena di benedizione del letto degli sposi novelli, la processione che termina con la confessione collettiva, il rito per respingere il temporale) e quando Purif confesserà di riuscire a parlare al Demonio in persona, i suoi paesani la prenderanno in parola e, considerandola il principio di tutti i propri mali, inizieranno una brutale, violenta procedura di rigetto sociale.

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E' in questa fase del film che lo studio sociale e antropologico si mescola all'horror. Questo mix sarà una costante delle trasposizioni cinematografiche derivanti dal documentario etnografico (vedasi ad esempio "Non si sevizia un paperino" di Lucio Fulci del 1972), come se un ritorno alle origini debba per forza trasformarsi in un viaggio nelle nostre peggiori paure collettive.

L'esorcismo di Purif ad opera del Parroco del paese, scena girata nel 1963, lascerà molti di stucco. Alcune scene de "L'Esorcista" di William Friedkin, uscito dieci anni dopo, sono infatti inequivocabilmente ispirate a questa parte del film di Brunello Rondi:  mi riferisco in particolare alla camminata da ragno (schiena inarcata e braccia in posizione innaturale) di Dahlia Lavi all'interno della chiesa, ma anche alla presunta possessione diabolica della ragazza sul letto della sua stanza. Se a queste scene aggiungiamo il fatto che lo sfondo della vicenda è da una parte il deserto sassoso del materano e dall'altra quello sassoso iracheno (ne "L'Esorcista"), il quadro dell'influenza del film di Rondi (e di conseguenza di tutti gli echi del cinema etnografico italiano) diventa chiaro, imprescindibile.

Alcune doverose parole per Dahlia Lavi, che in questo film si esibisce in un'interpretazione di un'intensità superiore. Circondata come detto quasi solo da attori non professionisti, riesce a restituire perfettamente l'alienazione sospesa della sua condizione.

REGIA E FOTOGRAFIA: ***/5

CINEMA DEL FUTURO (misura dell’originalità complessiva): *****/5

CINEMA BEN FATTO (attinenza con i temi del #lavorobenfatto): ****/5

EFFETTO COLLA (attaccamento alla poltrona): ****/5

Lo spettacolo finisce qui. Alla prossima, al Nuovo Cinema Nicoletti.

Nuovo Cinema Nicoletti – MARGIN CALL: per chi preme il bottone

Posted by Stefano Nicoletti in #lavorobenfatto, Nuovo Cinema Nicoletti | 0 comments

Margin Call

"SII IL PRIMO. SII IL PIU' FURBO. OPPURE INGANNA"

L'informazione finanziaria indipendente è merce rara, tanto più preziosa quanto più eterea e impalpabile, quasi irrintracciabile in mezzo al rumore di fondo dell'informazione ufficiale che personalizza le istituzioni finanziarie ("Oggi la Borsa di Milano ha tentato di reagire...") e che invece spersonalizza le facce reali che si muovono dietro a numeri, indici, tassi e tendenze.

"Margin Call" è un film del 2011, uscito in Italia senza lasciare traccia nella primavera del 2012. Ho avuto la fortuna di ripescarlo sulla TV satellitare, attratto da un cast di attori stimolante, ma molto particolare: Kevin Spacey, Stanley Tucci, Jeremy Irons, ma anche Demi Moore e Zachary Quinto (lo "Spock" della nuova serie di film di "Star Trek").

La trama ci racconta del licenziamento dell'uomo sbagliato: Eric Dale (Stanley Tucci) infatti ha appena scoperto che la Banca di investimenti per la quale lavora è sull'orlo di un tracollo che contagerà inevitabilmente tutto il sistema finanziario. Prima di scomparire Dale affida i suoi appunti a un giovane analista, che porterà il caso all'attenzione delle alte sfere. E' lì che si dovrà decidere quale delle due strade prendere: salvare la pelle a scapito di tutti gli altri o lasciare che sia qualcun a premere, prima o poi, quello stesso bottone.

Scritto e diretto da un esordiente, J.C. Chandor, "Margin Call" riesce a restituire una faccia, delle emozioni, un'umanità a una delle discipline meno umane che siano mai comparse sulla faccia della terra, cioè la finanza speculativa: bit che valgono miliardi, bolla che esploderà solo apparentemente a caso, interessi che non si affacciano mai sul mondo reale, rimanendo esclusiva proprietà di chi ha saputo crearseli a propria immagine e somiglianza.

E' un thriller, un film drammatico, un film storico, un documentario, ma soprattutto un film che viviseziona l'essere umano mentre vive dentro quelle strutture che lui stesso ha creato senza capirle fino in fondo, sperando che l'effimero godimento di oggi lo salvi dalla distruzione del domani.

Non a caso molta della trama si svolge di notte: mentre gli altri dormono il sonno degli ignavi c'è chi muove i fili, studia strategie, pianifica dettagli capaci di rivoluzionare per sempre la percezione della realtà e la realtà stessa. E tra questi, c'è sempre chi deve premere il bottone, per programmare con precisione infinitesimale, con lavoro ben fatto, un nuovo inizio o una nuova fine, con la faccia impassibile del giocatore di poker che non riesce più a distinguere se stesso quando bluffa.

REGIA E FOTOGRAFIA: ***/5 CINEMA DEL FUTURO (misura dell'originalità complessiva): *****/5 CINEMA BEN FATTO (attinenza con i temi del #lavorobenfatto): *****/5 EFFETTO COLLA (attaccamento alla poltrona): ****/5   Lo spettacolo finisce qui. Alla prossima, al Nuovo Cinema Nicoletti.

Nuovo Cinema Nicoletti – ANGIO’ IL FILM e Lorenzo Viani rivive

Posted by Stefano Nicoletti in #lavorobenfatto, Nuovo Cinema Nicoletti | 0 comments

Parlare di un progetto che ha già visto passare otto anni di lavoro è affascinante. Leonardo Palmerini mi racconta che ha iniziato a lavorare a "Angiò - il film" proprio otto anni fa, quando insieme agli altri componenti del gruppo musicale del quale è bassista, Le Onde Martenot, stava approfondendo il lavoro artistico di Lorenzo Viani.

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Nato a Viareggio nel 1882, Lorenzo Viani è ricordato per le sue opere pittoriche, per le sue incisioni, ma anche per i suoi lavori letterari, tra i quali spicca senz'altro, per lo stile feroce, "Angio' uomo d'acqua", storia di miseria d'altri tempi, di marinai e di un'insanabile rapporto di amore-odio per il mare. Ho letto il romanzo anni fa e mi colpì per come riusciva, con la sua cruda semplicità, a restarmi in testa, a suggestionare ogni mia successiva vista del mare.

Leonardo non si è fermato alla contemplazione del lavoro di Viani, ma attraverso il suo lavoro di ricerca è andato oltre, cercando di mantenere vive le influenze che quel lavoro aveva generato. Così è nato "Angiò - il film", un lungometraggio realizzato fotogramma per fotogramma con la tecnica del rotoscoping, ri-elaborando le immagini del lavoro pittorico e incisorio di Viani con inserti di scene narrative del giorno d'oggi. Leonardo si è trasformato così lui stesso in artista a 360 gradi: regista, narratore e moderno "incisore" di fotogrammi.

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Ci sono allora molti aspetti entusiasmanti del progetto e non si fermano alla passione che lo ha fatto crescere nel tempo immagine dopo immagine o alla capacità di rendere viva quell'arte che sarebbe destinata alla freddezza di un museo. C'è anche il fatto che nel corso del tempo il progetto ha affascinato altre persone che hanno dato il loro contributo alla produzione riuscendo così, negli ultimi due anni, a farlo decollare fino a decidere l'apertura di una pagina di crowdfunding per le rifiniture finali e per l'opera di promozione che interesserà soprattutto Festival italiani e Internazionali.

quadro consuetudine

Il film sarà pronto per la primavera 2015, intanto è possibile già saperne di più a questi indirizzi:

http://www.angioilfilm.com/

https://www.youtube.com/watch?v=u_wX02P-93ome>

Per sostenere invece il crowdfunding, ecco la pagina dedicata di ProduzioniDalBasso.com:

https://www.produzionidalbasso.com/project/angio-il-film/

“Quando si destò, le vele non facevano più ombra sul mare. Alzatosi in chiglia il nano non vide altro che cielo e mare, il sole era aureolato di un cerchio di minio e l'arie pungevano fresche. Un fremito di gelo percorse lo sterminato.” Lorenzo Viani

Lo spettacolo finisce qui. Alla prossima, al Nuovo Cinema Nicoletti.

       

Nuovo Cinema Nicoletti – REGISTE, come Diana Dell’Erba

Posted by Stefano Nicoletti in #lavorobenfatto, Nuovo Cinema Nicoletti | 1 comments

 

Diana Dell'Erba sa misurare le parole. Quando le pronuncia o le mette nero su bianco, riesce a riportare la tua attitudine alla riflessione a quella che poteva essere qualche decennio fa, quando i tempi digitali rapidi e impalpabili erano ancora ben al di là dall'arrivare.

Diana è l'autrice di "Registe", un'opera cinematografica di ricerca prodotta dalla torinese Altrofilm che parte da una semplice constatazione: nel cinema, le donne registe si contano percentualmente quasi sulle dita di una mano. Ha risposto ad alcune domande di "Nuovo Cinema Nicoletti" regalandoci ricordi, sogni e riflessioni da non lasciar passare se non dopo averle fatte un po' nostre.

Maria de Medeiros in Registe_Photo by Simone Nepote André 3

Maria de Medeiros in "Registe", foto di Simone Nepote André

NCN: Parliamo di te: c'è un film in particolare che ti ha fatto innamorare del cinema? DIANA: Il film con il quale fino ad oggi mi sono sentita più in sintonia, quello che mi ha cambiato di più attraverso un vero percorso di catarsi, è stato The Fountain - L’Albero della Vita di Darren Aronofsky.

NCN: Mi racconti del tuo primissimo tentativo artistico? cosa trattava, com'è nato, qual è stato il tuo primo pubblico? DIANA: Il mio primo approccio al mondo delle immagini è avvenuto attraverso la fotografia. Con una semplice analogica mi sono tuffata con molta naturalezza nel mondo della creazione. Il mio corpo acquisiva le posizioni più strane e, dopo un’accurata ma istintiva ricerca, ogni viaggio terminava con un clic. Questo è andato avanti per molti anni… ma, ad un certo punto, la libertà provata in quei momenti ha iniziato a trasformarsi. La “bambinanza” ha cominciato ad offuscarsi. Il malsano desiderio di un risultato ha pian piano rubato il posto all’istinto. I mezzi sono cambiati, diventando più complicati ed andando a braccetto con la tecnica. In questo viaggio, la libertà, all’inizio splendida protagonista ha iniziato ad essere messa da parte… Oggi ardo dal desiderio di ritornare a quella incosciente urgenza; riuscendoci paradossalmente solo nei pochi momenti in cui si fa da parte il desiderio.

Il cinema muto in REGISTE, regia di Diana Dell'Erba

NCN: Oggi fare cinema sembra essere diventato tecnicamente alla portata di molti, o tutti: ma è davvero così? DIANA: Stiamo vivendo un’epoca straordinaria. Un’epoca che l’uomo ricorderà fino alla fine dei suoi giorni. Internet e la tecnologia ci hanno messo nella condizione di avere l’intera conoscenza a portata di mano… ma avere una cosa a portata di mano non significa avere la capacità di allungare la mano per prenderla. Il cinema, come l’Arte in generale, dovrebbe essere un mezzo per portare chi lo fa e chi lo consuma ad un’esperienza. Forse il problema è che troppo spesso ci accontentiamo di esperienze banali, già vissute, che ci fanno rivivere comodamente il passato… quando invece dovremmo avere il coraggio di vivere il presente, unico vero accesso al futuro.

NCN: Parliamo di "Registe": mi ha incuriosito molto la struttura molto originale di questo lavoro, un mix tra documentario e finzione, tra ieri e oggi, tra cinema e realtà: in che direzione volevi portare lo spettatore? DIANA: "Registe" è stato per me un grande viaggio. Esplorare prime le filmografie e poi i mondi di queste straordinarie donne mi ha insegnato moltissimo. Ascoltare ed immergersi nella realtà di una persona davanti a te equivale a diventare per un attimo quella persona e quel mondo. L’ascolto è uno dei più straordinari mezzi che abbiamo per arricchirci e migliorare. Il montaggio e la realizzazione di un’opera video è un complicato esperimento alchemico. L’intento è stato quello di riassumere e condividere con il pubblico l’essenza di ciò che si è vissuto.

NCN: Intervistando molte tra le principali registe italiane hai raccolto, immagino, molte storie personali legate al cinema: quali ti hanno colpito di più? DIANA: Ognuno degli sguardi di queste registe ha la sua peculiarità, ogni singolo percorso è molto interessante e gli aneddoti che mi hanno colpito sono tantissimi… ma tolto il velo degli argomenti affrontati, dei linguaggi utilizzati o della soggettiva piacevolezza, rimangono degli elementi sopra tutti. La figura del regista è un mestiere, anche simbolicamente, molto interessante: è colui che sta a capo di un sistema piramidale e che deve riuscire ad amalgamare un’infinità di elementi…e quello che mi ha fatto più pensare è proprio ciò che accomuna queste donne: la forza. Il coraggio che hanno avuto e che hanno nell’aver scelto di fare nella propria vita ciò che desideravano. Se si capisce ciò che si vuole fare nella propria vita, tutto il resto va in secondo piano. E se non lo si capisce, si deve lavorare al massimo per riuscirci. Il mondo che ci circonda spesso ci deride e opera per intralciare questa nostra comprensione, ma penso che il senso stia nella lotta stessa: guerrieri per comprendere e poi agire. Parafrasando i versi presenti proprio sul sito: “il sapiente non si riconosce dal lavoro che fa, ma da come lo fa”.

Registe, regia di Diana Dell'Erba_Francesca Archibugi6

Diana Dell'Erba e Francesca Archibugi

NCN: Le donne registe hanno la convinzione di dare qualcosa di diverso al mondo del cinema rispetto alle visioni maschili? oppure, come qualcuna ha detto, in fondo davvero il cinema è sempre cinema? E se esistesse un cinema centrato sulle donne come quello che oggi è centrato sulle visioni maschili, che tipo di cinema potrebbe essere? DIANA: L’Arte è Arte e non ha sesso. Se concepiamo il cinema come un percorso di ricerca verso l’Arte, perché non dovrebbe essere aperto a tutti? È un luogo dove anche le donne oggi vorrebbero avere la libertà di sperimentare, perché privarle di questa possibilità? Si arreca un danno a queste donne, ma questo è il minimo… la cosa più grave è che si arreca un enorme danno al pubblico. La creazione può avvenire nell’uomo come nella donna, ma leggendo i dati dell’industria cinematografica sembra che essa sia convinta del contrario, che sia convinta che oggi solo gli uomini sia in grado di creare.

NCN: Immagino che avrai raccolto molte opinioni su "Registe": mi racconti la più particolare, quella che ti ha fatto particolarmente piacere e quella che invece... proprio ti è rimasta alla gola? DIANA: Ciò che mi ha fatto più piacere è stato il sincero coinvolgimento di alcune registe protagoniste del film e quello di alcuni spettatori di sesso maschile che mi hanno colpito avendo compreso il fatto che volevo andare oltre ad una divisione di genere. Particolari critiche non ne ricordo, forse pensandoci, mi avrebbero fatto piacere alcune parole non dette, positive o negative che fossero...

NCN: Potendo scegliere, continueresti con un cinema di ricerca o valuteresti anche un cinema unicamente narrativo? DIANA: Non credo di essere portata per la narrazione. Ho moltissime idee nel casetto, ma una più difficile dell’altra. Alcune notti fa, ad esempio, ho sognato un esperimento/documentario/viaggio vicino alla ricerca di Jodorowsky… un sogno in tutti i sensi perché di quasi impossibile realizzazione, ma chissà, magari mi nascerà la forza per realizzarlo…

"Nuovo Cinema Nicoletti" ama sognare a occhi aperti e, forse ancor di più, vedere i sogni degli altri realizzarsi. Bonne chance Diana.

"Registe" è distribuito in DVD da Altrofilm (http://www.altrofilm.it/portal/shop/) e ha varcato i confini nazionali per approdare, ad esempio, negli USA dove è stato richiesto come materiale di studio universitario. Gli stessi USA che, ci confessa Diana, vedono ancora il nostro Paese come un esempio per la produzione cinematografica, ben più di come Lui stesso riesca ormai a ricordare.

Lo spettacolo finisce qui. Alla prossima, al Nuovo Cinema Nicoletti.

Nuovo Cinema Nicoletti – ONE HOUR PHOTO

Posted by Stefano Nicoletti in Nuovo Cinema Nicoletti | 1 comments

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La fotografia è un’arte mutevole, come le infinite sfumature di luce e colore.

Lo sviluppo fotografico richiederebbe quindi una cura maniacale che invece spesso, nell’era odierna delle impostazioni automatiche, è demandata ad algoritmi di calcolo piuttosto che alla sensibilità di un appassionato lavoratore del settore.

Oh, non si affida certo agli algoritmi Sy Parrish! Nonostante lavori nel centro stampa di un grande supermercato americano, che sembrerebbe lì apposta per raccontarti di un mondo enorme e spersonalizzato, Sy trova proprio nell'applicare nel suo lavoro dedizione, attenzione e cortesia  l’occasione per riscattare la sua vita insostenibilmente solitaria, monotona e lineare.

Non tutti i clienti si accorgono di lui, ma non importa. Del resto, il gusto che Sy trova nello sviluppo delle foto non è solo quello di un tecnico specializzato che aspira alla perfezione tecnica. C’è un’altra passione che lo spinge in quella direzione: quella di riuscire, attraverso le “sue” foto, a vivere anche solo per un attimo le vite degli altri, quelle di chi in qualche modo sembra avercela fatta e che può quindi tentare, a ragione, di immortalare un attimo eterno di felicità. In particolare, quella della famiglia Yorkin, clienti di vecchia data cui si sente particolarmente legato, avendo visto crescere pellicola dopo pellicola il loro figlio Jake.

Lui non ha mai creduto di poterci riuscire, non ci è mai riuscito, forse non è mai nemmeno riuscito a tentare di costruirsi una vita così e allora che c’è di meglio di assistere alla rappresentazione di quella degli altri, riuscendo anche a sistemarla un po’ con la regolazione di saturazione ed esposizione?

Domande che portano altre domande, perché una felicità artefatta che vive solo di fantasia e di riflessi può forse sopravvivere quando si scontra con la grana grossa della realtà? Naturalmente no, ma non ditelo a Sy. La sua strada è segnata e lo porterà a voler aggiustare a tutti i costi quella macchia nella realtà che un giorno gli apparirà per puro caso in una delle foto degli Yorkin... e l'ingresso nella realtà di chi è abituato a vivere di fantasia non può essere che devastante.

"One Hour Photo" è un film del 2002 scritto e diretto da Mark Romanek, regista già molto conosciuto fin dagli anni '90 per la realizzazione di videoclip, e interpretato da Robin Williams in una delle sue interpretazioni dai toni più contrastanti, quindi più difficili, quindi più emozionanti.

L'ho scelto come primo contributo per questa rubrica per diverse ragioni che non hanno sempre a che fare con la ragione, intesa come raziocinio. Beh, sì, un tributo a Robin Williams e alle emozioni che ci ha regalato in una carriera brillante e sfortunata al tempo stesso. Beh, sì, un omaggio doveroso al cinema di Romanek che ha dimostrato di conoscere talmente bene i tempi della storia da saperli rendere rarefatti in modo magistrale, tanto da riuscire a rendere perfettamente naturale anche la completa, insopportabile solitudine di Sy pur in mezzo a centinaia di persone. E aggiungiamo pure una nota doverosa sulla fotografia pulita, asettica eppure suggestiva in un film che parla di quanto sia delicata, per l'appunto, la tecnica fotografica.

Ma in verità quello che mi ha reso indimenticabile questo film è il ricordo ben preciso, nettissimo di pochi fotogrammi: quelli in cui lo sguardo di Robin Williams/Sy Parrish è completamente dedicato al suo lavoro sulla pellicola.

Amore, ossessione, difficoltà nel distinguere quale sia la realtà e quale la fantasia (o l'immaginazione... o anche solo il proprio unico, irripetibile punto di vista) si mescolano nei tratti del viso di Robin Williams e ci aprono la vista su quella strada così vicina eppure lontanissima sul cui confine camminiamo ogni giorno, l'orlo di un burrone dominato dalla solitudine dal quale solo amorevoli mani amiche ci possono far ritrarre.

REGIA E FOTOGRAFIA: ****/5

CINEMA DEL FUTURO (misura dell'originalità complessiva): ****/5

CINEMA BEN FATTO (attinenza con i temi del #lavorobenfatto): ****/5

EFFETTO COLLA (attaccamento alla poltrona): ****/5

Lo spettacolo finisce qui. Alla prossima, al Nuovo Cinema Nicoletti.